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Dario Musso torna a casa, ma l’Italia resta imbavagliata

Avete sentito parlare di Dario Musso? No, con tutta probabilità. Tranne poche, pochissime eccezioni la stampa italiana non ha dedicato una sola parola al giovane manifestante di Ravanusa costretto a un TSO per avere espresso una propria opinione. Merito dei social se oggi apprendiamo di questa vicenda, destinata a scrivere una delle pagine più tristi della storia della Repubblica.

Andiamo con ordine. Lo scorso 2 maggio in provincia di Agrigento un uomo di 33 anni, Dario Musso, a bordo della sua auto con un megafono ha iniziato a gridare che il Coronavirus non esiste. “Non c’è nessuna pandemia, svegliatevi, andatevene a Roma a parlare la lingua di quello che pensate“. Queste le sue parole. Parole che gli sono costate care, se dopo qualche minuto le locali forze dell’ordine accerchiavano letteralmente il veicolo invitando il ragazzo a scendere dalla macchina.

Le scene successive sono sotto gli occhi di tutti perché riprese dall’alto dalla videocamera di un cellulare (qui il video). Dalle immagini si nota che nessuna resistenza, nessuna violenza è stata esercitata da parte del manifestante. Eppure in pochi istanti Dario è a terra, immobilizzato da una cerchia di persone in uniforme e sedato da tre operatori in camice bianco.

Dario Musso sottoposto a TSO per un’opinione

Quello che è successo dopo? Un incubo durato giorni che oggi conosciamo grazie all’avvocato Lillo Massimiliano Musso, fratello di Dario, che con grande tenacia si è fatto portavoce di una famiglia sconvolta registrando ogni passaggio di quei giorni infiniti.

Questi i fatti. Dopo il fermo Dario Musso sottoposto a TSO è ricoverato nella psichiatria dell’ospedale di Canicattì. Ai familiari non è dato conoscere i motivi del ricovero ed è impedito finanche di parlare al telefono col proprio congiunto. “Non abbiamo il cordless”; “il cordless c’è ma ora non è possibile”; “suo fratello sta dormendo”, dicono nel migliore dei casi le voci che rispondono a quel telefono. Voci che parlano il linguaggio della vergogna, che fanno immaginare un accordo sottinteso e forse neanche troppo. Voci ostili che lasciano trapelare uno sconcertante accanimento verso il paziente e la sua famiglia. “Suo fratello è contenuto. È meglio che dorme.” “Non sapete cosa ha combinato?” “Come lei ben sa se è avvocato…” (qui il resoconto).

Per oltre quattro giorni inviti a “richiamare domani”, squilli senza risposta, telefoni chiusi in faccia; il tutto in barba al diritto di comunicazione fissato dalla stessa legge n. 180 del 1978 istitutiva del TSO all’art. 1 confluito poi nell’art. 33 della legge n. 133 del 1978.

Dopo una lunga odissea, la telefonata al fratello che Lillo Musso riesce a strappare lascia l’amaro in bocca. “Sono chiuso nelle mani e nelle braccia, non mi posso muovere”, dice Dario riuscendo a farsi capire a malapena, legato e stordito dai farmaci (qui l’audio).

Dopo sette giorni oggi Dario Musso è tornato a casa. Sette giorni “soltanto”; ma interminabili, infiniti giorni per gli affetti di un ragazzo uscito di casa con le sue gambe e con la propria automobile, che non ha mai manifestato segni di squilibrio psichico e non è apparso in preda ad alterazioni psichiche al momento del fermo. Proprio quando il presupposto per dar luogo al TSO, acronimo di trattamento sanitario obbligatorio, è che esso venga eseguito “solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici.”

Cercheremo di capire meglio quello che è accaduto in quei giorni interminabili quando Dario si sarà ripreso. E sarà il Tribunale di Agrigento a giudicare, il prossimo 4 giugno, sul ricorso presentato avverso il provvedimento di TSO.

TSO e nuova dittatura sanitaria

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Quello su cui vogliamo riflettere è l’allarme che una vicenda come quella di Dario Musso desta. Siamo in Italia, un Paese che sotto l’enfasi costituzionale dell’art. 21 riconosce il diritto alla libera manifestazione del pensiero.

Ma quanto c’è oggi di “inviolabile” in questo diritto, o meglio, in tutti i diritti che i Padri dell’Italia hanno solennemente proclamato nella Carta Costituzionale alla sconfitta della dittatura?

Pensiamoci. Siamo veramente liberi di parlare e di esprimere il nostro pensiero, o rischiamo di finire in un reparto di psichiatria per averlo fatto? Per rimanere in tema di TSO, non è la prima volta che se ne parla. Nelle ultime settimane questo tipo di trattamento è stato invocato (sic!) per annientare coloro che si rifiutano di effettuare il tampone diagnostico del Covid-19. Lascia sgomenti che il promotore di questa “idea” sia stato proprio il CODACONS, una delle associazioni a tutela del consumatore e dunque del cittadino; ma questo è un altro discorso.

Purtroppo non finisce qui. L’art. 19 della Costituzione è stato di fatto cancellato, se la libertà di professare liberamente la propria fede religiosa è quotidianamente mortificata, tanto da legittimare la violazione del culto cattolico mediante irruzione della forza pubblica in piena celebrazione (video).

Sulla promozione della cultura proclamata dall’art. 9 stenderemo un velo pietoso; e non ci stupiremo se questo termine verrà sostituito in uno dei prossimi Dcpm con quello di “paura” più consono al momento.

La stessa libertà personale, quella bellissima e inviolabile che l’art. 13 sembra quasi voler gridare, viene ormai presentata in ogni dove come una conquista da assumere a piccole dosi, con avvisi e ultimatum sbandierati di qua e di là nel momento in cui taluno si permette di uscire in strada pur essendo legittimato a farlo.

L’Italia pullula di “sceriffi” che in nome della loro autorità locale stanno commettendo i peggiori abusi contro i loro concittadini e contro la stessa umanità. Proprio loro che sarebbero, e sono ancora, chiamati a tutelare la popolazione.

Silenzio sul caso Dario Musso

Ma l’aspetto più drammatico è il silenzio di fronte agli abusi continuamente commessi. Della stampa, dei media, del popolo. Un caso come quello di Ravanusa dovrebbe essere denunciato, e non solo dalla famiglia del giovane resosi “colpevole” di aver detto quello che pensa. Dovrebbe essere oggetto di discussione, in Parlamento come in TV, nelle piazze, nelle strade. Ma quali piazze e quali strade per un popolo blindato dal lockdown? E quale discussione, visto l’esempio che proprio questa vicenda sembra voler dare a chi ha ancora un po’ di voce per dire quello che pensa e non si allinea al pensiero generale?

Non è solo Dario Musso, è l’intero popolo italiano che è stato preso, sedato, sequestrato e costretto al silenzio. Zittito. Imbavagliato da mani invisibili camuffate da mascherine antivirus.

Non siamo qui ad avallare facili critiche al Governo e alle decisioni assunte negli ultimi mesi in nome della salute pubblica. Sarà la storia, come sempre, a dare le giuste risposte.

A Dario e ai suoi familiari auguriamo di poter superare presto questo drammatico momento. Ci piacerebbe dare una nota di speranza a questa storia con le parole di Evelyn Beatrice Hall in ‘The Friends of Voltaire’. “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere.”

Dal canto nostro non pretendiamo che la voce di quanti non si allineano alle idee altrui venga ascoltata. Ma solo che non venga spenta. Perché, sappiatelo, siamo tutti Dario Musso.

Aggiornamento: su Facebook è scattata la lotta al silenzio. Sotto l’hashtag #IoSonoDarioMusso chi si è stancato di gridare senza voce ha già iniziato a condividere questa immagine come foto profilo sui propri social.

Cosa pensi di questa vicenda? Condividi la tua opinione nei commenti!

Un articolo della Redazione pubblicato il 09/05/2020 e modificato l'ultima volta il 10/05/2020

Redazione

La Redazione di Mondo Media Magazine è formata da giovani accomunati da una grande passione per la scrittura e il mondo del web.

Un pensiero su “Dario Musso torna a casa, ma l’Italia resta imbavagliata

  • Tiziana Leobruni Accessibile=NoBarriere ODV ONLUS

    Vorrei sottoporre alla Vostra cortese attenzione il caso di Elena Casetto, 19 anni colpevole di avere troppa foga e passione data la sua giovane età nell’esprimere le sue opinioni, legata al letto nel reparto di psichiatria a Bergamo, vi ha trovato la morte in quanto è scoppiato un rogo e nessuno l’ha slegata.
    Perché vi chiedo di queste cose non si parla? Grazie

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